Le verità dei vinti di L. Mascilli Migliorini

Luigi MASCILLI MIGLIORINI, Le verità dei vinti. Quattro storie mediterranee, Roma, Salerno Editrice, 2017, (Mosaici, 1), 141 pp., ISBN 978-88-6973-247-8.

La lunga giornata della storia è il racconto che Luigi Mascilli Migliorini propone in questo libro, La verità dei vinti, edito per i tipi della Salerno editrice.
L’autore, professore di storia moderna e accademico dei Lincei, ha selezionato quattro storie mediterranee, che si dipanano lungo l’arco di una lunga giornata che è composta dalle ore vissute dai protagonisti di questa narrazione intensa, nonostante la brevità e l’agilità del volume. I protagonisti del primo capitolo sono gli abitanti di Costantinopoli nella notte che precede l’entrata delle truppe ottomane, che pongono fine alla gloria millenaria della città che è stata in grado di raccogliere l’eredità della Roma imperiale, capitale di un impero che nei secoli del Medioevo si è ridimensionato, eroso a poco a poco dai musulmani. Gli eredi dell’epopea dei conquistatori, che avevano fatto del Mar Mediterraneo un lago interno, si preparano a essere i conquistati, a diventare vinti, coloro che non hanno, molto spesso, voce nelle pagine della storia. Eppure la voce data agli abitanti di Costantinopoli, così come quella data ai napoletani dopo l’arrivo degli Alleati (capitolo III), agli abitanti di Alessandria d’Egitto e ai soldati dell’armata napoleonica avventuratasi sotto le piramidi (capitolo II), agli algerini e ai francesi durante la lotta di liberazione dell’Algeria, ex-colonia francese (capitolo IV) e ai piccioni di Aleppo nell’epilogo, non si sostituisce alle pagine scritte in precedenza; sono piuttosto un punto di vista, il racconto di coloro che sono rimasti sommersi nel mare quasi immobile della storia, quella zona profonda, che ha anche «conosciuto la sconfitta, o la conoscerà quando la sua vittoria subirà il fatale consumo del tempo». È una narrazione che scopre, sotto la patina grigia della storia degli eserciti e delle uniformi (una costante nei capitoli del libro), i colori del Mediterraneo e della vita, i colori della gente che sopravvive pertinace fino ad accecare come la luce del sole di mezzogiorno ai piedi delle tre piramidi.
Nel libro di Mascilli Migliorini s’avvicendano il disincanto e l’illusione, l’euforia e lo sconforto del passato di cui si è orfani, e la timorosa accettazione del futuro e del nuovo corso. Non è mai un nuovo inizio quello descritto negli episodi scelti dall’autore, tuttavia emerge la necessità di riorganizzarsi, seppur con rassegnazione, che è tipica di un Mediterraneo che da secoli non è più centro del mondo, ma periferia di un mondo in «grande trasformazione». E non è un inizio, perché in quei giorni di «incertezza del futuro» si dipana un «presente doloroso» – ricorrendo alle parole di Benedetto Croce. E questo lo sanno gli abitanti di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia: «Alle condizioni antiche di uno smarrimento, per così dire, antropologico, confinato d’abitudine e talvolta per comodo nell’infinito universo contadino o, in quello, più circoscritto ma non meno separato, della plebe urbana, si aggiunge lo smarrimento di chi nel presente non ha mai smesso, seppur con difficoltà, con accanimento, di abitare e scopre, allora, inattese, lancinanti esclusioni. Il mito, coltivato anche a Napoli e nel Mezzogiorno da un giovane generazione borghese cresciuta nella dittatura, ma non persuasa di essa, che tra cinema, dischi, letture, ha fatto dell’America il suo “nuovo mondo” morale, non aiuta in questa condizione. Rende, anzi, la rivelazione del momento più folgorante» (pp. 73-74).
La scelta evocativa di introdurre il libro con il racconto “doloroso” del pio Enea al cospetto della regina Didone. «Un dolore indicibile» che si rinnova, un incontro d’amore, d’amore alla vita che sopporta e si riscatta in coloro che sopravvivono e che possono raccontare. Tuttavia, mentre Enea ha lasciato Troia, gli abitanti di Napoli, così come quelli di Costantinopoli rimangono a condurre una vita giorno per giorno «senza potersi troppo interrogare su ciò che voglia dire domani» (p. 91). Una condizione volta alla sopravvivenza, nonostante le difficoltà, nonostante la fame, malgrado le bombe: «Le bombe sono capaci di sconvolgere una città» (p. 102), lo sanno bene anche gli abitanti di Algeri nelle notti di agosto del 1956. La forza di devastazione delle bombe «ferisce il tessuto fisico della città e moltiplica la sensazione della insicurezza e della impossibilità di abitare un luogo». E bisogna comprendere i rapporti tra il luogo e i suoi abitanti. Per questo motivo la lettura del IV capitolo diventa più complessa. La storia si rovescia e risorge un sentimento di «vergogna» per chi è costretto ad abbandonare il campo di battaglia.
«Quattro storie, dunque, di un Mediterraneo tutt’altro che atonico e afasico mare di pace, ma diviso e condiviso mare di voci e conflitti, dove i vincitori hanno ragione anche quando il dolore che provocano sembra dar loro torto, e i vinti traggono dalla loro sofferenza un diritto alla verità che la ragione di chi ha prevalso sembrerebbe negare o, in maniera più orribilmente semplice, dimenticare» (p. 9).
Memoria è dolore: questo è l’assunto. Questo è quello che hanno imparato nei secoli gli uomini e le donne che hanno vissuto ai bordi del Mediterraneo e hanno vissuto il Mediterraneo, abbandonato dagli dei e lasciato al destino delle cose umane, troppo umane. Non è una sorte diversa quella toccata agli abitanti di Costantinopoli, che rimasero svegli una notte intera, perché «vinti da un’angoscia liberatrice» (pp. 11-12). Non è un’attesa dei barbari, che non arriveranno, poiché l’esercito di Maometto II è lì, fuori dalle mura, pronto a sferrare l’attacco finale appena sarà luce.

Pietro Simone Canale

 

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